L’arte dell’intreccio è quasi certamente la prima tecnica artigianale ideata dall’uomo, e anche quella più diffusa geograficamente, in tutte le latitudini e fra tutti i popoli. Il suo fascino, unico da millenni, sta nel costruire, quasi creare, con del materiale povero, spesso di scarto come le ramaglie della potatura, oggetti che racchiudono oltre all’utilità, anche l’estro dell’artigiano.
Essa rappresenta l’ultima frontiera dell’artigianato allo stato puro, perché rende ogni oggetto un pezzo unico e irripetibile. A differenza di molte altre attività artigianali che nel tempo sono andate meccanizzandosi, al momento non esistono infatti macchine in grado di produrre da sole cestini.
Ma se la tecnica è rimasta immutata e viene tramandata in Valle Camonica attraverso i saperi degli artigiani più esperti, gli oggetti realizzati hanno subìto un’enorme evoluzione, reinterpretando gli stili di vita e i gusti moderni. Così la gerla viene riproposta come portaombrelli e come contenitore per la legna; i cestini come portapane o portariviste; i vagli non servono più per la cernita del grano, ma sono arricchiti da composizioni oreali per addobbare una parete di casa.
A rendere preziosi questi oggetti non sono dunque i materiali, ma il lavoro che ci sta dietro, dalla raccolta in primavera dei ramoscelli, dalla pulitura alla cernita della lunghezza, dalla sbucciatura del vimine “bianco” alla loro essiccatura. A questo bisogna poi aggiungere il tempo dedicato a ideare e intrecciare, spesso ricavato nelle lunghe notti d’inverno nei villaggi di montagna, e trascorso in cantine riscaldate, dove nonni, padri e gli si ritrovano in un connubio generazionale, che consente di intrecciare tradizione, contemporaneità e modernità, perpetuando, appunto, l’essenza dell’artigianato.